D – Le sue architetture, come del resto molta architettura giapponese contemporanea, sono sempre molto connotate, uniche. E’ una scelta poetica oppure, considerate le dimensioni e la complessità visiva del contesto urbano giapponese, una “strategia di sopravvivenza”?
R – Alla base, il motivo più grande sono le dimensioni e la complessità visiva del contesto urbano giapponese. Mutevole, disorientato.
Oggi con la simulazione al computer si può capire subito la praticabilità di un’idea progettuale. Grazie allo sviluppo tecnologico, l’architetto in fase progettuale è completamente libero di avventurarsi e sperimentare forme abitative fino ad ieri impensabili. Inoltre credo che le nuove generazioni qui in Giappone sono molto interessati ad un’idea dell’architettura che li aiuti a vivere meglio. Stanchi di trovarsi in soluzioni abitative standard è costose preferiscono decidere loro.
D – dei piccoli edifici residenziali giapponesi si dice che sono pensati per non durare nel tempo: una volta passati di moda, si demolisce e si costruisce ex novo. E’ davvero così? Se sì, cosa pensa (anche in termini di economia e di materiali) di questo progressivo cancellare il passato?
R – In Giappone, in media una casa vieni ricostruita dopo 30 anni perché il suo valore immobiliare ha una durata minima. Un giovane di 30 anni che costruisce la sua casa, sa già che a 60 anni la sua casa non avrà nessun valore, può venderla o demolirla per ricostruire. Il popolo giapponese ama molto l’idea della casa indipendente perché prima della casa si possiede la terra, e per realizzare questi desideri spesso si è costretti ad utilizzare materiali economici poco duraturi. Dal punto di vista ecologico è un notevole danno, per questo credo si preferirà in futuro di preferire appartamenti coinvolgendo importanti studi di architettura che sappiano proporre attraverso l’architettura forme evolute di connivenza.
D – lei produce moltissima edilizia privata. Cosa vuol dire costruire per una persona o per una famiglia? Quanto pesano nel progetto i desideri del committente? Che tipo di rapporto si instaura tra architetto e committente?
R – Nell’edilizia privata, spesso i desideri del cliente sono incompatibili con l’effettivo spazio di terra che hanno a disposizione, a Tokyo in particolare spesso si dispone di pezzi di terreno che in un altro paese sarebbero lasciati liberi. Qui la richiesta di abitazioni e cosi alta che spesso ci si trova ad affrontare delle vere e proprie sfide. Dai primi incontri con i clienti non ho nessuna idea di cioè che sarà, generalmente si finisce sempre con il pensare alle persone che ci abiteranno. Le formi spesso sono il frutto di una mediazione tra il budget del cliente le soluzioni che suggerisce il costruttore. Inutile dire che la riuscita di un buona abitazione dipende dalla sua grandezza. Credo che in un progetto il 70% sia opera del cliente, il rimanente è fantasia degli architetti che ci lavorano.
D – Cosa cerca, che tipo di funzioni vuole una persona di oggi in una casa? E in un prossimo futuro?
R – i clienti cinquantenni quasi sempre ti chiedono una casa comoda da vivere senza gradini, pensando alla loro vita da anziani preferiscono avere meno ostacoli possibili. Nella casa tradizionale giapponese piena di gradini gli anziani avevano vita difficile. I giovani diversamente preferiscono alla comodità la diversità, cercano una casa che abbia una propria identità, una propria unicità. In Giappone c’è una forte tendenza verso l’ecologia, si cerca una casa che possa essere autonoma che sia fatta anche di materiali riciclabili.
D – Occidente e Oriente: come vede il rapporto tra le due culture? Che cosa l’una riversa nell’altra e viceversa? Conosce degli esempi di “promiscuità” interessanti, e se sì quali?
R – L’ architettura in occidente lavora su piani volumi, diversamente in oriente, si lavora su linee. Nel mio lavoro da questo punto di vista utilizzo entrambi gli elementi di piano e linea.
D – Ci sono esempi di edilizia pubblica che ritiene interessanti? Quali e perché?
R – personalmente trovo molto interessante il lavoro di Rem Koolhaas, rispetto il suo lavoro il suo coraggio di andare oltre l’architettura proponendo a volte anche modelli di società, la sua è una visione completa dello spazio del paesaggio e di come possa vivere la gente.