Porcinai in Toscana. Opere nel paesaggio, Di Sebastiano Brandolini
Il paesaggio pare oggi aver sostituito l’urbanistica, relegata quasi a mera prassi amministrativa. Ma il paesaggio è anche diventato un campo invasivo, vago e onnivoro abbastanza perché al suo interno possa cascarci di tutto: l’ambiente, la natura, i parchi, i sistemi delle strade, gli spazi aperti, le aree metropolitane, le facciate, i tetti …. tutto fa paesaggio, anzi landscape, soprattutto in Italia. Non sembra esserci progetto che non richieda di essere valutato ambientalmente e pare impossibile concepire qualità architettonica in assenza di verde. Ma dev’essere per forza così? Abbiamo idee chiare su quale debba o possa essere il rapporto tra la natura e la città e cosa sia il ruolo del disegno degli spazi aperti?
Parlare qui del più accreditato e discusso architetto dei giardini italiani del XX secolo, Pietro Porcinai (1910-1986), non darà delle risposte immediate a queste difficili domande, ma ci aiuterà a inquadrare il problema. Perché il paesaggio non riguarda soltanto la naturalizzazione “decorativa” della città, ma è qualcosa di più. Il paesaggio condensa una visione fisica, sociale, culturale ed economica delle tante componenti singole e dell’ambiente che nel suo insieme ci stanno intorno. Paesaggio non è natura. Paesaggio non è giardini. Paesaggio non è romanticismo. Paesaggio è politica, stile di vita, soluzione di problemi.
La Toscana è l’ambito generico di questo itinerario pretestuoso a sfondo territoriale, con Firenze al centro. È un itinerario sui generis, perché comprende perlopiù i giardini di ville aristocratiche normalmente non visitabili, sparse nella conca di Firenze, nei pressi di Siena, vicino a Sansepolcro (al confine con l’Umbria e le Marche). Rispetto agli anni passati oggi la Toscana è cambiata, con Firenze che fa da ombelico di una metropoli amorfa e lineare che si sussegue da Lucca a San Giovanni Valdarno; in quanto paesaggio-territorio la Toscana andrebbe ri-osservata, ri-capita, e ri-immaginata e servirebbe proprio un nuovo Porcinai, generoso, umanistico, visionario e concreto insieme, che ci si dedicasse. Porcinai infatti, oltre a lavorare su centinaia di micro-giardini privati e per i parchi di sedi aziendali (come la Mondadori a Segrate/Milano o l’Olivetti a Portici/Napoli e anche sulla piazza Beaubourg/Parigi), fu coinvolto e si appassionò anche a progetti grandi e strategici quanto invisibili: come lo spostamento del tempio colossale di Abu Simbel in Egitto in seguito alla creazione del lago Nasser, oppure l’inserimento e le opere di compensazione (così le chiameremmo oggi, ma è un’espressione infelice) lungo l’autostrada del Brennero, oppure la riqualificazione di una cava dismessa dell’Italcementi nei pressi di Matera.
I giardini di Porcinai non solo quelli dalle parti di Firenze (dove egli visse e lavorò, anche se nella sua vita viaggiò tantissimo), non sono compensazioni o decorazioni, ma luoghi a pieno diritto. Come tanti luoghi non sono né facili da fotografare né da immaginare solo dai disegni. Gli squarci che si aprono sul paesaggio infinito (potrebbe non essere così in Toscana?) sono affiancati da un’attenzione sentimentale e da un’introspezione quasi religiosa nei confronti della materialità dei dettagli: il gradino, l’aiuola, la vasca, il suo bordo, il vaso e i vasi, il sentiero, la panca, la ringhiera, il tavolo e il pozzo. Questa lista potrebbe allungarsi ma non all’infinito; le situazioni nel paesaggio che Porcinai alimenta sono comunque semplici, quotidiane e concrete, e non sottendono lussi o sfarzi; i suoi giardini di ville – anche quando godono di panorami sulla silhouette di Siena o sui campanili di Firenze – essendo di rado illusionistici o di rappresentanza, trasmettono invece un senso e una bellezza che si accordano con il loro essere innanzitutto case di campagna. Oltre a contenere l’idea di Paradiso (come voleva l’autore), contengono anche in filigrana un’idea di Archeologia (senza accenni di nostalgia).
Su Pietro Porcinai manca per adesso una pubblicazione esauriente, per le difficoltà abituali con cui si scontra chi vuol fare un bel libro sul paesaggio; vi sono sì alcune pubblicazioni, ma tutte specialistiche o parziali. Occasionalmente si parla di una mostra in preparazione, ma poi vengono sempre fuori nuove complicazioni legate all’accessibilità dell’archivio, ai fondi economici, alla sede, al concept, alla composizione del comitato scientifico. Ma siamo tutti fiduciosi che la situazione si sblocchi e che a Pietro Porcinai vengano tra non molto attribuiti i meritati riconoscimenti (anche internazionali), di cui questo breve scritto e le belle fotografie di Alessio Guarino vogliono solo essere anticipazioni.