Tokyo, 3 Luglio 2010
È un luglio molto caldo, quello che è appena iniziato qui in Giappone, climaticamente e politicamente caldo. Dopo la vittoria nelle elezioni politiche, per la Camera Bassa, dello DPJ (Partito Democratico Giapponese) e l’insediamento del Governo Hatoyama, l’LDP (Partito Liberal Democratico) dopo oltre 60 anni, quasi ininterroti, di potere, ha cominciato un ineluttabile processo di implosione, causato soprattutto dalla defezione di singoli parlamentari, ma più spesso di gruppi di parlamentari, composti in genere da un minimo di 5 membri, cioè del numero minimo di aderenti per fondare un nuovo partito politico.
La meteora del Governo Hatoyama si è rapidamente spenta, a causa della mancanza di leadership del Premier, delle continue lotte interne al partito, ma soprattutto a causa dell’incapacità del Governo di risolvere il problema della rilcollocazione, fuori da Okinawa della base militare americana di Futenma. Un problema che ha suscitato forti sentimenti e atteggiamenti anti governativi, ma anche anti americani, un fenomeno inconsueto in un paese poco avezzo a esternare il proprio dissenso politico.
Per ritrovare una reazione di simile grandezza, bisogna risalire alla proteste pacifiste della fine degli anni 60, questo è indice forse che i rapporti bilaterali tra USA e Giappone sono arrivati ad un momento di ripensamento. Il successore di Hatoyama, Naoto Kan, appena salito al posto di comando del governo, si trova ora ad affrontare una campagna elettorale difficile, resa ancor più complessa dalla comparsa sulla scena politica, di una vera e propria galassia di nuovi partiti, micro partiti e indipendenti che si devono competere i 121 seggi della Camera Alta (Sanjiin), il prossimo 11 luglio. Le elezioni rappresentano il banco di prova del nuovo Governo e una sconfitta, o l’impossibilità di ottenere una maggioranza sicura da parte del Partito Democratico rappresenterebbe quasi sicuramente la fine del Governo Kan.
Se questo avvenisse, si aprirebbe uno scenario di grave instabilità politica, nessun altro partito infatti, sembra essere in grado di raggiungere una maggioranza relativa e la forte frammentazione dello spettro politico si presta solo alla formazione di governi deboli.
In sintesi: il quadro politico, alla vigilia delle prossime elezioni per il rinnovo delle cariche parlamentari non non è mai stato così caotico. Sul piano economico, gli indici descrivono un paese che stenta ancora ad uscire da una crisi diventata troppo lunga. La situazione geopolitica, sullo scacchiere asiatico, risulta incerta, con una Cina che assume un ruolo sempre più importante e un Giappone che sembra avere difficoltà a trovare il suo ruolo nel nuovo scacchiere mondiale.
Se quanto sta avvenendo all’interno e intorno al Giappone, succedesse in un paese europeo, ci si potrebbe aspettare una forte tensione sociale, con manifestazioni di piazza, scioperi, dibattiti e campagne mediatiche orientate verso la polemica e la conflittualità. Ma in Giappone tutto questo non avviene. Chi in questi giorni, si trovasse a passare da Tokyo, o da una qualsiasi città giapponese, incontrerebbe i rappresentanti dei vari partiti o indipendenti (mushozoku) impegnati in una campagna elettorale inconsueta, secondo i criteri di giudizio occidentali. Di fronte alle stazioni ferroviarie di maggior traffico, incontrerebbe pulmini attrezzati a palco dai quali, candidati e leader di partito, tengono comizi, apparentemente accolti dall’indifferenza dei passanti, letteralmente ‘bombardati’ da autoparlandi ‘sparati’ alla massima potenza. Stessa colonna sonora, nelle vie cittadine, attraverso minubus dai quali instancabili ‘Signorine usignolo’ (uguisu jo) in abbigliamento sportivo, salutano la folla con la mano inguantata di bianco.
In tutte le zone pedonali in prossimità delle aree commerciali, vecchie e nuove personalità politiche o energetici attivisti, stringono mani, distribuiscono volantini e soprattutto tanti sorrisi e inchini, prima o dopo brevi comizi, anche questi a tutto volume. L’atmosfera è quella della festa, della sagra paesana (matsuri) pacifica e dal carattere cordiale. Le massaie e soprattutto gli anziani, sembrano gli unici a prestare attenzione, a farsi fotografare insieme ad un ex primo ministro, a un dirigente di partito, all’improvvisato politico che corre da solo per un posto in parlamento. Quello che manca è l’aggressività, la veemenza, il senso di conflitto così tipico in tante campagne elettorali, in altre parti del mondo. Un bella e ironica descrizione di quanto avviene durante le campagne elettorali nipponiche è il film-documentario: ‘Campaign-Senkyo’ (Campagna elettorale) di Kazuhiro Soda del 2007.
Il film come le immagini fotografiche, le descrizioni anche dei parametri estetici del ‘Senkyo’ possono aiutare moltissimo a comprendere questa Società, così spesso fraintesa. Seguire i candidati, sulle rotte dei minibus, di fronte ai centri commerciali, nei piazzali prospicienti le stazioni, è un modo per scoprire, alcune delle caratteristiche sociali più importanti del Giappone come: la serietà mista all’autoironia, il gusto del travestimento e della ‘coreografia’, l’impegno ad ogni costo per ottenere il risultato, pur sapendo di utilizzare strumenti e atteggiamenti spesso ridicoli e largamente superati dalle nuove forme di penetrazione e convinzione mediatica. I giapponesi lo sanno, ma stanno al gioco, forse vagamente annoiati, senza darlo troppo a vedere. Gli occidentali che conoscono bene il Giappone e sicuramente molti giapponesi, si domandano, a cosa serva questa colorata e pacifica ‘coreografia elettorale’. Ci si domanda inoltre chi ascolti quelle che sembrano parole lanciate al vento, accompagnate da volantini, gadget, poster e slogan ingenui che certamente non hanno presa sul cittadino giapponese metropolitano, un po’ ‘flaneur’ e un po’ ‘blasé’, disincantato, culturalmente ed estremamente sofisticato dal punto di vista estetico.
E cosa provano quelli che sono dall’altra parte, per così dire, della bariccata, i candidati? Un caso emblematico. Aki Wakabayashi, quarantaquattrenne, già giornalista economica di un certo rilievo, indipendente, corre sostenuta dal Minna no To (Partito di tutti) una compagine populista di destra,fondata da un leader del vecchio Partito Liberal Popolare Yoshimi Watanabe, insieme ad altri 5 membri dello stesso partito, una delle tante micro rappresentanze politiche sorte negli ultimi mesi. Lo slogan elettorale del partito è quasi disarmante: “No alla burocrazia, sì all’autonomia locale, sì a una vita serena”. Per Aki, la sveglia suona alle 6, non passa un’ora che è già sul minibus, preso a noleggio, accompagnata da una ‘Task force’ composta di un assistente tutto fare e da un autista.
La corsa per le strade di Tokyo continua fino alle 20:00, quando, per legge, si deve interrompere ogni forma di propaganda elettorale. Per tutto il giorno Aki, sale e scende dal pulmino, per collocarsi, senza scarpe su uno sgabello, affiancata dalla siluette in cartone, quasi un’icona, un po’ fumettistica del leader dello Minna no To, Yoshimi Watanabe. La candidata parla ora davanti alla sede del Mistero degli Esteri, ora davanti ad una stazione stracolma di pendolari frettolosi. La seguiamo nel minibus, mentre instancabile agita la mano, in segno di saluto, verso passanti distratti, non si può permettere nessuna graziosa uguisu jo che lo faccia al posto suo, i suoi finanziatori sono i suoi famigliari. Lei continua a sorridere, a stringere mani, a parlare, anche quando cammina, attraverso il megafono. Poi lasciata la stazione di Akihabara, si percepisce un momento di stanchezza, scende dalla vettura, corre verso un Mc Donald’s e mangia, in piedi, un Dubble Cheese Burger, mentre da un registratore digitale, un suo messaggio pre registrato, si diffonde nel caos cittadino. Poi riparte instancabile.
Nell’era di Internet di Twitter e di FaceBook, in Giappone la strada, il pulmino, il sorriso, l’inchino, il contatto con la gente rimangono un’obbligo, anche per il leader più importante. C’è qualcosa di fondamentalmente comunitario e democratico, in questo modo di promuoversi, avvicinandosi con umiltà all’elettorato, anche a rischio di fare brutta figura. Il giorno dopo le elezioni, come ovunque nel mondo c’è chi festeggia, chi progetta nuove sfide o rivincite, ma per le strade non c’è per nessuno l’aria da Coppa del Mondo persa ai rigori. Le strade tornano ad essere quelle che sono sempre state, gli autoparlanti non diffondo più la voce dei candidati alle elezioni, ma forse quella degli Arashi, un gruppo pop, che sorride da una gigantografia luminosa collocata su un Tir, qualcuno persino lo nota. Testo di Fabrizio Grasselli